sabato 31 dicembre 2011

Chiocciola bianca 2011

Allora, arriva questa telefonata di Angela Merkel, fortemente preoccupata, lo capisco dal fatto che parla con uno strano accento milanese. Mi dice che c'è bisogno di una presa di posizione ferma e decisa, di far sapere alla gente quello che sta succedendo, di dichiarare se il 2011 è stato un anno buono o cattivo, se abbiamo letto abbastanza e bene, o poco e male, se le classifiche dei libri più venduti servono a qualcosa, se ha un senso che Faletti e Moccia continuino a primeggiare in maniera così esagerata. Insomma ci scarica addosso tutte le sue preoccupazioni e a noi non resta che rassicurarla: anche quest'anno ilVoltaPagine assegna la sua Chiocciola bianca, il premio più parziale che esista, ovvero i cinque migliori libri letti da noi quest'anno, senza alcun criterio specifico se non il caso e il gusto personalissimi. E l'Europa tira un sospiro di sollievo.
Ecco dunque servita la classifica delle nostre migliori letture nel 2011, in ordine rigorosamente inverso:
- al 5° posto Post-punk 1978-1984 di Simon Reynolds, per il modo competente e arguto con cui ritrae il panorama musicale di un'epoca che ha segnato - con effetti spesso opposti - molti di noi;
- al 4° posto Life di Keith Richards, perché se anche non vi piacciono gli Stones, mezzo secolo di rock e costume passa comunque attraverso le loro memorie;
- al 3° posto Che la festa cominci di Niccolò Ammaniti, nella speranza che certi grotteschi scenari divengano ora e per sempre solo argomento di ben scritti romanzi;
- al 2° posto Sangue dal cielo di Marcello Fois, volti e terre di Sardegna raccontati con parole che vanno più a fondo del coltello;
- e infine la chiocciola bianca per il 2011 va a Corpo mistico di Frans Kellendonk, un romanzo disperato che ha nel desiderio la sua forza nascosta.
Un sincero augurio per delle ottime letture lungo tutto l'anno che si appresta ad iniziare.

Foto: La chiocciola e la lavanda © Paolo Bertinetto

sabato 17 dicembre 2011

Quant'è bella la pioggia!

«Nostalgia acuta, infinita, / tremenda, di quel che ho». Diceva bene Juan Ramón Jiménez, noi ci struggiamo di insoddisfazione per quello che in fondo è dinanzi a noi, a portata di mano; lasciamo scorrere i giorni affogati nel desiderio di un altro luogo, di un altro tempo. Sogniamo d'essere invitati alla corte degli Asburgo, di stenderci sull'erba nell'estate del festival di Woodstock, di salire in groppa ad un Mas con D'Annunzio nella baia di Buccari, sogniamo di continuo, inseguendo un altrove dove avremmo potuto davvero realizzarci, un altrove che ci incanta e, in fondo, ci incatena.
«La principale necessità della nostra vita, è qualcuno che ci faccia fare quello che possiamo fare». Dobbiamo dare ragione a Ralph Waldo Emerson e sperare che ciò accada: che finalmente arrivi la persona, l'emozione, lo sguardo, quell'epifania capace improvvisamente di rigirare il nostro mondo, di metterlo a testa in giù, così da renderlo ridicolo ai nostri occhi e costringerci a fare qualcosa di totalmente nuovo, di vero e, soprattutto, di nostro. Cosa volete fare della vostra vita? Pensateci.
«Scrivere è un atto d'amore, se non lo è, non è che scrittura». Jean Cocteau non appare in Midnight in Paris, ma viene citato, aleggia sulla storia, e come potrebbe essere diversamente quando si racconta di uno scrittore a Parigi, Gil, al quale manca 'solo' di rivoltare come un calzino la propria esistenza. È fortunato Gil, a tendergli la mano, ad offrirgli l'occasione del cambiamento, saranno gli spiriti eletti del Novecento artistico e letterario. L'invidia per l'esperienza messa in scena da Woody Allen fa perdonare qualsiasi leggerezza, quella della trama, fievole però fiabesca, quella dei personaggi del nostro tempo, evidenti macchiette. Lasciamo allora perdere le elucubrazioni critiche: c'è un sogno che invade la realtà; c'è Parigi e le sue atmosfere; e c'è la pioggia, quant'è bella la pioggia!
«Il non scrivere cominciava a pesarmi e provavo quel senso di mortale solitudine che ti coglie alla fine di ogni giorno sprecato». Personaggio chiave è Ernest Hemingway, colui che provoca gli eventi, colui che guida e distilla saggezza, anche se in una maniera impettita da far ridere, icona letteraria di se stesso. Uno che non penseresti mai si sparerà in bocca con un fucile da caccia. Festa mobile è il romanzo che ha evidentemente ispirato il film, ed è un romanzo che tutti gli scrittori in erba dovrebbero leggere. Non tanto perché possa essere loro d'aiuto - anzi forse li scoraggerà del tutto - quanto per la capacità di trasmettere il gusto profondo dell'essere scrittore e a quel punto, pure solo il tentare di diventarlo, sarà una soddisfazione sufficiente per la propria vita.
«Quando giungeva la primavera, anche la falsa primavera, non restava che da risolvere il problema del posto in cui sentirsi più felici». Tutto è semplice in fondo, siamo noi a complicare le cose, a intralciare il nostro cammino con ostacoli vari e inutili, solo per la stupida paura di seguire il consiglio di Arthur Miller: «Io credo che ognuno debba prendere tra le proprie braccia la vita, e baciarla».