domenica 24 ottobre 2010

Il volto di Vico

Un giorno quel buontempone di Magritte dipinse una pipa e ci scrisse sotto «ceci n'est pas une pipe». Parafrasando Magritte, per l'immagine qui a fianco potremmo pensare alla seguente didascalia: «questo non è Vico». Il gioco sarebbe lo stesso, perché tutti sanno che in realtà questo è proprio il volto di Vico. O no?
Penso sia capitato a tutti, talvolta, di inseguire la curiosità per le fattezze di un autore celebre, di aver voglia di spulciare una sorta di facebook letterario chiedendosi che sguardo potesse avere quell'orso di Jerome David Salinger, oppure se Ludovico Ariosto avesse lo stesso cipiglio furioso del suo Orlando. In casi del genere un accesso a internet offre soluzioni rapide ed efficaci: basta immettere la chiave in Google, in Bing o dove altro vi piace, magari selezionando solo le immagini, e il gioco è fatto. Purtroppo però la forza di propagazione della rete è neutra, nel senso che agisce ugualmente in tutte le direzioni, sia 'positive' sia 'negative', e nel nostro caso a farne le spese è stato proprio il più famoso filosofo napoletano.
Una recente pubblicazione ha messo in evidenza come per lungo tempo il ritratto che con maggior frequenza i motori di ricerca rendevano (e ancora oggi in parte rendono) dopo aver digitato "Giovambattista Vico", corrisponde a quello di un signore tanto barbuto quanto sconosciuto, lo stesso che potete vedere qui sopra. Un'evidente prima errata attribuzione ha generato a cascata infiniti utilizzi a cui non sono sfuggiti siti istituzionali (Televideo Rai) e case editrici, quale la Ícone di San Paolo del Brasile, che ha addirittura scelto l'immagine per la copertina di una nuova edizione della Scienza Nuova. Nella versione inglese di Wikipedia l'iconografia errata ha prevalso sulle altre per oltre quattro anni, prima d'essere rimossa venendo finalmente incontro a diverse segnalazioni.
Leonardo Pica Cimarra, a cui si deve tale curioso reportage, evidenzia giustamente come in rete «la capacità di disseminazione dell'errore è colossale» (p. 62), tuttavia la stessa forza - come dicevo - ha il movimento opposto: l'emendazione di un errore può farsi strada a fondo e rapidamente attraverso la rete. Vero è che non sempre così accade, ma in media la resa rimane senz'altro imparagonabile rispetto ai media tradizionali. Dunque niente allarmismi, giusto un po' di accortezza, quella tipica dei lettori esigenti. Ah, la faccia di Vico, quella vera, la trovate qui.

venerdì 15 ottobre 2010

Interni danesi

Una strada ha molte dimensioni: la lunghezza del suo svolgersi dal centro verso la periferia; l'altezza dei palazzi o delle villette che la costeggiano; la profondità delle vicende umane celate dietro ad ogni porta. Basta scegliere una strada fra le tante, ad esempio la Dantes Allé a Copenaghen, e percorrerla con l'attenzione e la pazienza di uno scrittore, per trarne centinaia di piccole storie, una topografia minima delle esistenze, degne di racconto non tanto se prese ciascuna per sé, ma nell'insieme, per accumulo e stratificazione, per i piccoli rimandi da una facciata a quella di fronte, per il confronto tra gli infiniti modi di riempire le nostre giornate.
Simon Fruelund esplora la Dantes Allé con precisione metodica – benché si tratti di una via immaginaria – seguendo l'ordine dei numeri civici, da 1 a 86. Dietro ciascuna porta getta uno sguardo essenziale, privo di fronzoli, che sa però tratteggiare in poche frasi un ritratto di famiglia, spesso minima, se non addirittura ridotta ad una sola persona. Un paesaggio nella sostanza desolato, nonostante i bei giardini curati, le intelaiature bianche delle finestre, i bollitori appena spenti per accogliere le foglie seccate del té. La sequenza è mesta, come un'ordinata Spoon River danese, senza lapidi né lastre, eppure a volte più immobile e sconsolata della collina raccontata da Edgar Lee Masters.
D'altronde, e non è un caso, la strada è il viale di Dante: incamminarsi lungo i suoi marciapiedi sarà quasi come imboccare un girone di anime, se non dannate, perlomeno un po' infelici. A questo allude il titolo del volume (composto da tre racconti), il crepuscolo civile rimanda al declino umano, prossimo alla sua fase estrema. Fruelund non dà segno di dolersene particolarmente: registra in maniera asettica, presenta le cose come stanno, fotografa, e lascia ogni commento all'atmosfera della foto, al modo in cui la luce colpisce l'occhio del lettore. Sembra difficile potersi appassionare a questi racconti senza trama, a questo andare ondeggiante privo di qualsiasi culmine, dal cancello con il numero uno passeggiando fino ai campanelli dell'86, sbirciando dietro le tende, spiando nelle fessure; eppure così avviene, con la medesima malìa che rende piacevole il monotono cullare delle ninne-nanne.
I riferimenti a Dante sono diversi, disseminati fra un civico e l'altro: c'è un tale che ha letto la Divina Commedia, e l'ha preferita di gran lunga al Don Chisciotte, perciò è felice di non abitare nella Cervantes allé (nr. 60); c'è chi ha un aliante personale e una moglie svedese con «lo stesso nome del grande amore di Dante» (nr. 76); infine – nessun italiano oserebbe tanto – scopriamo un infermiere che, dopo essersi trasferito, acquista la Commedia: «il ritratto di Dante con il naso lungo, le labbra sottili e l'espressione corrucciata lo fece quasi rinunciare in partenza. Non aiutò il fatto che il protagonista piangeva per un nonnulla, ammutoliva di compassione o era colpito da sudori freddi ogni volta che incontrava una delle anime perdute. Dopo che era svenuto due volte in appena dieci pagine, l'infermiere pensò: è peggio della peggiore donnetta» (nr. 37).
Nel terzo testo, Freulund indaga anche una dimensione cronologica dei luoghi, nel senso che i luoghi con il tempo cambiano: prima sono boschi solitari, poi radure aperte a colpi d'ascia, quindi spazi per rozzi accampamenti... La storia è un percorso poetico ideale attraverso le età dell'uomo, dalle radici dell'albero druidico alle fondamenta del condominio in periferia. E non stupisce che seguire questo cammino condensato in poche pagine, faccia salire alla gola dell'amara nostalgia.

Simon Fruelund, Crepuscolo civile, Villa San Secondo (AT), Scritturapura, 2008

Le mie chiocciole: @@

Da regalare: al responsabile comunale della toponomastica