lunedì 19 settembre 2011

Leggere a valle

Il piacere della lettura deve molto all’ambientazione. Di certi libri, anche non eccelsi, serbiamo spesso un bel ricordo grazie all’atmosfera che ci circondava mentre sfogliavamo le pagine. In tal maniera, a volte, luogo e libro nella memoria si fondono, divengono un’unità inscindibile, il cui valore sta proprio nella fortunata combinazione. Ma la fortuna, a volte, può essere sollecitata. In questi giorni vi è infatti l’occasione di leggere nella cornice di un luogo particolare e molto evocativo: morbide sedie rosse, una platea semi deserta, musica in sottofondo, attorno un ferro di cavallo costituito da palchetti in legno decorato, sul fondo il sipario aperto sul palcoscenico del Teatro Valle di Roma.
È bene lo sappiate fin da subito, quello che vi sto invitando a fare è illegale. Tutto discende dal provvedimento dell’ultima finanziaria che ha sancito la soppressione dell’Ente Teatrale Italiano (ETI) e di conseguenza una nuova destinazione d’uso – ancora in fase di definizione – per il Teatro Valle di Roma e per il Teatro della Pergola di Firenze. Di fronte alla scelta politico-economica che ha reso molto incerto, e ‘a rischio’, il destino di un bene pubblico che molto aveva offerto al pubblico italiano, una compagine di lavoratori dello spettacolo – attori, registi, scenografi, musicisti, macchinisti... – ha deciso di occupare il Valle e dal 14 giugno 2011 il teatro è autogestito, e in maniera molto efficiente. Tutto il periodo estivo ha offerto una serie di spettacoli gratuiti ed eventi, fuori e dentro lo storico edificio, attirando un gran numero di appassionati e sostenitori dell’iniziativa. Informazioni aggiornate si trovano sul loro blog e si può sempre passare di lì per essere aggiornati sulle prossime iniziative. Segnalo, fra le altre, l’imminente avvio di un corso di editoria organizzato in collaborazione con Minimum Fax.
D’altro canto il Valle non è un teatro qualunque, proprio lì si tenne, ad esempio, il 9 maggio 1921, la prima di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, pièce tanto innovativa da scatenare l’ira del pubblico; in quella movimentata serata scese in platea l’attrice Vera Vergani per fare da scudo allo scrittore. Un busto in cima ad una delle due scalinate ricorda inoltre le molte presenze sul palcoscenico del trasformista Fregoli. Ma soprattutto il Valle era un teatro dove si poteva sperimentare e dare spazio ad iniziative nuove, spesso a firma di giovani. Una sorta di casa per chi viveva e lavorava nel mondo teatrale, uno strumento culturale importante per un paese da sempre legato a questo genere di letteratura. Questa settimana saranno 100 cento giorni che il Teatro Valle è occupato e che tanti lavoratori dello spettacolo e semplici appassionati cercano di dimostrare quanto sarebbe bello che un’istituzione del genere continuasse a vivere, e quanto bene può fare all’Italia avere un teatro svincolato da logiche strettamente economiche e adibito a laboratorio per le future generazioni di professionisti, per giovani interessati a mantenere viva una gloriosa tradizione italiana.
Da lettori esigenti potete fare volendo la vostra parte. Spesso, dopo cena, si può silenziosamente entrare al Valle e fare della propria presenza un segno. Accomodatevi in platea e leggete. Anche se il libro scelto deluderà le vostre aspettative, basterà l’atmosfera a salvare la serata.

giovedì 8 settembre 2011

Il palcoscenico della vita spensierata

Di quel che c’è, non manca nulla, nel picaresco Il trionfo dell’asino, romanzo incentrato sulle avventure di Giacomo Crivelli, veneziano di buona famiglia ammaliato dal mestiere del teatrante nella Serenissima del ’600. Non manca nulla: scenette pruriginose, personaggi strampalati, fughe precipitose, inganni, sotterfugi. Si tratta, per certi versi, di un saggio scherzoso sulla vita del guitto, una vita senza sicurezze condotta alla giornata, piena di imprevisti dolci e amari. Se foste un attore girovago potrebbe capitarvi di svegliarvi disteso su un fienile, ondeggiando sotto il peso di una rossa di primo pelo, alla prova dell’ergonomicità del vostro ‘sellame’; e subito dopo dover fuggire, rocambolescamente sospinto dai forconi di un nutrito parentado. E tutto ciò avrebbe il suo fascino, non trovate?
Si diverte Andrea Ballarini a farci smarrire fra tante scene di contorno, a farci vagare da un’avventura all’altra, incastonando il tutto nella cornice di un doppio omicidio notturno, evento che occupa le prime pagine per essere poi messo, per la verità troppo a lungo, da parte. E si diverte pure ad utilizzare un linguaggio involuto, solitamente senza eccedere, in una parodia leggera del narrare d’età moderna. Da essa riprende fra l’altro l’uso di intestare i capitoli con il resumé di quanto sta per accadere. Se la ricercatezza di stile non impedisce una lettura fluida, la trama soffre però di quel divagare di cui abbiamo detto: troppo poco infatti accade, di concreto, tra una svolta e l’altra. Ci sarebbe voluta maggiore densità di eventi per avvincere fino in fondo, evitando di perdersi nel descrivere fatti tutto sommato superflui.
Il centellinare non impedisce peraltro che le svolte nella storia siano talvolta forzate, che l’intreccio venga tirato per i capelli verso la necessaria direzione, con qualche casualità sospetta: un ramo che si spezza precisamente al passaggio di una carrozza (p. 87); un incontro inatteso ma decisivo nel duomo di Milano (p. 95). Tutto ciò potrebbe essere in realtà il voluto calco di certi stilemi antichi: allora gli eventi fortuiti erano il pane del racconto e la preoccupazione per la verosimiglianza era ancora di là da venire; le divagazioni e le storie nelle storie (pp. 107-108) erano pratiche ampiamente seguite. Oggi certe scelte risultano un po’ scomode, e c’è sempre il rischio che si diverta più lo scrittore a inseguirle di quanto piaccia al lettore trovarsele di fronte. È teatro in prosa? La struttura, il parlare, vari elementi fanno pensare anche a questo, a un teatro scanzonato e improvvisato che racconta se stesso.
Il senso di un divagare poco governato, questo si rimprovera a Il trionfo dell’asino, romanzo condotto con un piacevole cabotaggio, a causa però del quale, alla lunga, si fa sentire la nostalgia del mare aperto, il bisogno di una bussola e infine di una terra verso cui puntare la prua.

Andrea Ballarini, Il trionfo dell’asino, Bracciano (RM) – Cosenza, Del Vecchio Editore, 2009.

Le mie chiocciole: @@

Da regalare: a chi insegue le orme di Giacomo Casanova