domenica 29 maggio 2011

It’s only rock ‘n’ roll, but I like it!

«Per molti anni ho dormito, in media, due volte a settimana. Questo significa che sono stato cosciente per almeno tre vite intere» (p. 27).
Nessuno avrebbe potuto iniziare così la propria autobiografia. Ma Keith Richards non è nessuno. È la colonna portante di gran parte della musica moderna. È il chitarrista della più longeva e più grande band di rock&roll. È, semplicemente, Keith Richards. In quelle due righe c’è tutta l’essenza di una vita strepitosa, senza limiti, senza barriere, senza costrizioni sociali. Keith è l’ultimo degli uomini liberi. O, se volete, l’ultimo dei romantici. Nei solchi che ne scavano il viso e negli occhi dipinti ci si perde, travolti dalle immagini dei primi anni ’60, della swinging London, delle case nei sobborghi, della contestazione giovanile, della vita randagia. E poi dalle forme del blues, ascoltato, suonato, masticato, digerito, vomitato, fino all’ultima nota. John Lee Hooker, Chuck Berry, Muddy Waters, Bo Diddley, Elmore James, Jimmy Reed. E poi dai primi successi e da locali mitici, il Marquee, il Flamingo, l’Ealing Club, il Crawdaddy Club, il Red Lion, la Manor House. E si sentono, dai solchi sul volto, i riff di Satisfaction, di Paint It Black, di Jumpin’ Jack Flash, insieme alle urla dei fans. Non è soltanto immagine o suono il volto di Keef. È odore. Odore di viaggio, di una vita davvero on the road. Odore di un’estate a Villa Medici, quella del 1967, o di Africa, Marocco, Marrakech, Giamaica, Sudamerica. Ma è anche odore di droga, di ogni tipo e genere, odore del buio. Arresti, processi, aghi, siringhe, buchi, astinenza. Dal buio però si vien fuori. Qualcuno o qualcosa accende una luce. Un ragazzino, una donna, o soltanto, ancora, la Musica. Quanta musica su quel volto. «A Keith piacciono i diamanti nella polvere, gli piace la musica zulu, la musica pigmea, la musica arcana, misteriosa e impossibile da catalogare» (p. 479): è Tom Waits, tra i tantissimi, che racconta della loro collaborazione. A Keith piacciono anche libri, ha una biblioteca piena di volumi. E sono questi aspetti, quelli a cui Keith non ci ha abituati che, come ovvio, stupiscono e meravigliano. Keith che ha amato tantissime donne, ma che spesso è finito a letto con loro «senza fare alcunché, solo stare abbracciati e dormire insieme», storie che hanno «ben poco a che fare con la lussuria» (p. 326). O Keith che si prende cura di un gattino bagnato e abbandonato alle Barbados, da cui vien fuori il nome dell’album Voodoo Lounge. Oppure Keith che ama cucinare e che, sulle pagine del libro, ci lascia la sua ricetta per i Bangers and Mash (p. 485).
E, infine, tra gli incavi del viso scavati e incisi quasi come solchi di vinile ci sono loro, i Rolling Stones, i due Mick, Bill, Brian, Ron, Charlie. La squadra perfetta. Gli infiniti tour, le interminabili sessions negli studi di registrazione di tutto il mondo o nel seminterrato di villa Nellcôte, dove, tra l’estate e l’autunno del 1971, nacque uno dei migliori album rock di tutti i tempi, Exile on Main St. E sono esperimenti, valvole, banchi, sale regia, missaggi, chitarre, litigi, abbracci, voce, creatività, passione.
Che dio (!) ti benedica, Keef!
(post di Salvatore Sansone)

Keith Richards, Life, Milano, Feltrinelli, 2010.

Le mie chiocciole: @@@@@

Da regalare: ai metallari cronici

martedì 3 maggio 2011

La nobiltà dell'elio

Si inaugura con questo post la collaborazione del VoltaPagine con il Piccolo Festival della Letteratura. D'ora in poi, una volta al mese circa, godrete della straordinaria offerta di due recensioni al prezzo di una: due prospettive diverse sul medesimo libro per scoprire quanto soggettiva può essere una recensione.

Più leggero dell'aria è il primo romanzo di Fabio Guarnaccia, già autore di racconti e saggi. Un romanzo di formazione, una narrazione sul divenire adulti, ma soprattutto una storia su padri e figli e sui conti che si debbono per forza fare all'interno del rapporto tra di essi.
Elio Usuelli è un antropologo affermato, avviato però verso il declino professionale, senza più interesse né per la propria materia né per la vita accademica. Un uomo ritratto nel pieno di una crisi esistenziale. Ciò che lo risveglierà da quest'inedia sarà una strana scoperta sul passato del padre. Celestino Usuelli, infatti, fece parte, del tutto segretamente, della spedizione polare del dirigibile Italia del 1928. Non fece però mai menzione di questa avventura con nessuno, tantomeno con il figlio.
Sarà Fausto, assistente e grande estimatore di Elio, che, in un capovolgimento di ruoli, riuscirà a convincerlo ad affrontare con determinazione questo mistero legato al passato paterno e a partire per il nord della Norvegia. Fausto, co-protagonista e narratore, è un giovane allievo terrorizzato dai viaggi, tanto da non essersi mai allontanato da Milano. Una città che, attraverso i suoi occhi, troveremo quasi più inconsueta del lontano Polo Nord. È un ragazzo non più giovanissimo alle prese con due padri: il padre biologico con cui non è mai riuscito ad instaurare un vero rapporto e il maestro che stima e ammira ma dal quale non sa affrancarsi.
Questo viaggio verso il Polo forse non sarà un'avventurosa esplorazione come quella di Umberto Nobile, ma si rivelerà risolutrice per entrambi i protagonisti: il maestro e il discepolo. Il primo dovrà venire a patti con i terribili fantasmi che riguardano la verità sul padre che, scontatamente, credeva di conoscere così bene. Mentre per il secondo sarà l'occasione per superare le proprie paure e ansie, ma soprattutto, sarà l'occasione per trovare l'indipendenza e il senso della propria vita, anche se questo significherà passare attraverso duri contrasti e la – quasi necessaria – disillusione.
Se per alzarsi in volo il dirigibile necessita di utilizzare idrogeno, un gas più leggero dell'aria, per questi protagonisti la leggerezza e il conseguente librarsi e liberarsi saranno raggiungibili solo passando attraverso lo svelamento e il superamento dei pesanti fardelli che li tengono ancorati.
Guarnaccia, con Più leggero dell'aria, tocca alcuni dei temi fondamentali della letteratura e lo fa con originalità nella scelta dell'ambientazione, con toni ironici e una semplicità di linguaggio solo apparente.
(post di Barbara, dal Piccolo Festival della Letteratura)

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Un paio di scarpe pesanti, il cuoio segnato dai ghiacci del Polo e macchiato di un sangue antico. Sulle orme di quelle scarpe si incammina Elio, antropologo e accademico, deciso a svelare un mistero legato all'impresa del dirigibile governato da Umberto Nobile nel 1928. Un segreto taciuto da suo padre lo costringe a inseguire le poche tracce rimaste, fino a sollevare il velo, fino a comprendere e rimuovere la ragione del tacere. Lo accompagna Fausto, allievo non più giovane ma ancora inesperto di troppe cose della vita, che è per il maestro un pungolo, a tratti fastidioso, sempre necessario. Con una mano sul cuore e l'orecchio teso ad udire il fluttuare del dirigibile “Italia” o la risata scandinava di Svava, i due cercano risposte nel passato e nel proprio intimo, risposte utili a vivere meglio nel presente, utili ad Elio per ritrovare se stesso, utili a Fausto per avere il coraggio di essere.
Nulla di davvero avventuroso esce dalle pagine di Più leggero dell'aria, anche le vicende più estreme arrivano al lettore tramite il filtro della memoria di un diario, di un racconto pacato, perché il nucleo rimanga l'esperienza umana dei singoli, l'attenzione si concentri sull'intimità più che sull'azione. I molteplici fili che guidano il romanzo di Fabio Guarnaccia sono interrotti da piccoli nodi attorno ai quali i personaggi si provocano, si sfidano in un corpo a corpo a volte fisico, a volte verbale, a volte fatto di sentimenti contrastanti e ingovernabili. Sono scontri fra padri e figli, fra allievi e maestri, fra amanti, con sovrapposizioni e intrecci, in un percorso di crescita che costringe a farsi carico fino in fondo delle proprie scelte e delle proprie rinunce. Dei tanti fili è composta la trama che risulta perciò complessa e forse nei primi capitoli un po' dispersiva, simile ad un mosaico privo di qualche tessera, tuttavia tale lieve difetto finisce per dare valore alla parte finale, dove il ritmo si fa più serrato, i fili si raccolgono e molti dei famosi nodi vengono al pettine.
Ci vuole una sorta di nobiltà per riuscire a sollevarsi dagli affanni e le incomprensioni del vivere terreno, una nobiltà simile a quella del gas che porta in cielo i palloni aerostatici. Per possederla è necessaria la conoscenza profonda non solo di noi stessi, ma anche del nostro passato. Lo ricorda spesso l'uomo aquila, sorta di fantasma evocato da una missione antropologica, che è come un ammonimento subliminale in grado di dare un senso al tutto: «come pretendi di sapere dove andare se non sai da dove vieni?».
(post del VoltaPagine)

Fabio Guarnaccia, Più leggero dell'aria, Massa, Transeuropa, 2010

Le mie chiocciole: @@

Da regalare: al fan degli Zeppelin