Noi, in quanto esseri umani, siamo una specie imbarazzante.
I nostri piccoli ci mettono mesi ad imparare quel minimo che serve per
sopravvivere; qualunque banale virus ci costringe a letto per giorni; la minima
variazione climatica ci fa soffrire e sbuffare come locomotive in salita. Se ci
mettessimo in competizione con la gran parte degli altri animali, in una sorta
di decathlon della natura, il nostro piazzamento sarebbe sicuramente più che
modesto. Subiremmo invece una totale dèbacle
nel caso ci venisse la malaugurata idea di sfidare il mondo vegetale; perché le
piante, sì signori miei, le piante ci battono cento a zero.
Di questi concorrenti neppure ci accorgiamo, insensibili li
calpestiamo, spezziamo, potiamo, spesso senza tributare loro nemmeno uno sguardo.
L’invisibilità, il silenzio, sono altre doti misconosciute delle piante, altre
caratteristiche che la gran parte di noi ignora, e che la gran parte di noi non
si preoccupa minimamente di conoscere. Ed è un tragico peccato perché da ciò deriva
il rischio di cancellare per sempre specie e varietà, in un sterminio di cui
alla lunga potremmo tutti pagare le conseguenze. Fondamentale allora conoscere,
in quanto «ad attentare alla biodiversità concorrono l’opera congiunta della
distruzione per negligenza e della spoliazione per interesse, solo la
conoscenza può opporsi a tale devastante combinato di ignoranza e
mercificazione» (p. 5).
Gilles Clément ha scelto un modo intrigante per entrare in
confidenza con il mondo vegetale, sa infatti raccontare una pianta come fosse
una persona, ne fa un ritratto particolareggiato, collocandolo in un quadro più
vasto e sempre più affascinante di quanto ci si aspetti; dove noi potremmo
vedere solo qualche foglia, una corteccia, un fiore colorato, Clément scopre
particolarissimi indizi da cui far discendere a cascata considerazioni e
aneddoti. Penso alla panace di Mantegazzi, un ombrello enorme, che può arrivare a sette
metri d’altezza, una pianta tanto curiosa quanto pericolosa. è tossica, provoca una fastidiosa
dermatite che le è costata il bando da tanti giardini; nonostante ciò i Genesis le hanno
dedicato una canzone, The Return of The Giant Hogweed, nell’album Nursery Cryme del 1971. Clément fa ancora di più, ha
un reale atteggiamento di ammirazione per la panace, si inchina alla sua
imponenza e alla sua forza infestante, masochisticamente invita a sottoporsi
alla linfa urticante.
La sua passione sono le
‘vagabonde’. Ne è affascinato e riesce a trasmettere questa fascinazione,
legata alla scoperta che «le piante viaggiano. Soprattutto le erbe. Si spostano
in silenzio, in balìa dei venti. Niente è possibile contro il vento. Se
mietessimo le nuvole, resteremmo sorpresi di raccogliere imponderabili semi
mischiati di loess, le polvere fertili. Già in cielo si disegnano paesaggi
imprevedibili» (p. 17). Dunque le piante si muovono, non come singolo esemplare
ma come insieme di individui, ed è un insieme tenace e temerario, una carovana
di pionieri in grado di affrontare qualsiasi avversità. Clément pensa al nostro
pianeta come a un grande giardino, teatro di milioni di quotidiani incontri, di
una vita frenetica e incontrollabile mai bloccata da confini definiti. Contro i
‘radicali dell’ecologia’, egli «vede nella molteplicità degli incontri e nella
diversità degli esseri altrettante ricchezze apportate al territorio» (p. 18).
In sostanza si tratta di accettare il fatto che lo spostamento e la conquista
di nuovi spazi sono dinamiche naturali che implicano la vittoria di alcune
specie e il soccombere di altre. Di certo ci può disorientare il parallelo con
le migrazioni umane: «il mondo preoccupato grida all’invasione degli esseri
venuti da luoghi lontani. Stranieri, piante, animali, come osate impadronirvi
delle nostre terre?» (p. 101). Un bello spunto su cui riflettere. È pur vero
che un’anima ecologica potrebbe vacillare, se posta di fronte all’amletica
questione: il ginestrone recato dai colonizzatori britannici ha preso possesso
della Nuova Zelanda, dovrà allora essere oggi sterminato, oppure sarà da
considerare come uno dei tanti inevitabili cambiamenti all’interno del giardino
terrestre? In fondo l’uomo è elemento che agisce sullo scenario così come fanno
la pioggia e il vento; ne è parte integrante e determina con la sua presenza la
maniera in cui il giardino cambia forma. Almeno, va da sé, finché un vero
giardino ancora esisterà. La garanzia ce la può dare ancora una volta la
conoscenza, perché dal conoscere viene il rispetto, anche per le piante.
Gilles Clément, Elogio delle vagabonde. Erbe, arbusti e fiori alla conquista del mondo, prefazione di Andrea Di Salvo, Roma, DeriveApprodi, 2010.
Le mie chiocciole: @@@@
Da regalare: per consolare chi riesce a sterminare anche le piante grasse