sabato 4 agosto 2012

Vagabonde nel vento


Noi, in quanto esseri umani, siamo una specie imbarazzante. I nostri piccoli ci mettono mesi ad imparare quel minimo che serve per sopravvivere; qualunque banale virus ci costringe a letto per giorni; la minima variazione climatica ci fa soffrire e sbuffare come locomotive in salita. Se ci mettessimo in competizione con la gran parte degli altri animali, in una sorta di decathlon della natura, il nostro piazzamento sarebbe sicuramente più che modesto. Subiremmo invece una totale dèbacle nel caso ci venisse la malaugurata idea di sfidare il mondo vegetale; perché le piante, sì signori miei, le piante ci battono cento a zero.
Di questi concorrenti neppure ci accorgiamo, insensibili li calpestiamo, spezziamo, potiamo, spesso senza tributare loro nemmeno uno sguardo. L’invisibilità, il silenzio, sono altre doti misconosciute delle piante, altre caratteristiche che la gran parte di noi ignora, e che la gran parte di noi non si preoccupa minimamente di conoscere. Ed è un tragico peccato perché da ciò deriva il rischio di cancellare per sempre specie e varietà, in un sterminio di cui alla lunga potremmo tutti pagare le conseguenze. Fondamentale allora conoscere, in quanto «ad attentare alla biodiversità concorrono l’opera congiunta della distruzione per negligenza e della spoliazione per interesse, solo la conoscenza può opporsi a tale devastante combinato di ignoranza e mercificazione» (p. 5).
Gilles Clément ha scelto un modo intrigante per entrare in confidenza con il mondo vegetale, sa infatti raccontare una pianta come fosse una persona, ne fa un ritratto particolareggiato, collocandolo in un quadro più vasto e sempre più affascinante di quanto ci si aspetti; dove noi potremmo vedere solo qualche foglia, una corteccia, un fiore colorato, Clément scopre particolarissimi indizi da cui far discendere a cascata considerazioni e aneddoti. Penso alla panace di Mantegazzi, un ombrello enorme, che può arrivare a sette metri d’altezza, una pianta tanto curiosa quanto pericolosa. è tossica, provoca una fastidiosa dermatite che le è costata il bando da tanti giardini; nonostante ciò i Genesis le hanno dedicato una canzone, The Return of The Giant Hogweed, nell’album Nursery Cryme del 1971. Clément fa ancora di più, ha un reale atteggiamento di ammirazione per la panace, si inchina alla sua imponenza e alla sua forza infestante, masochisticamente invita a sottoporsi alla linfa urticante.
La sua passione sono le ‘vagabonde’. Ne è affascinato e riesce a trasmettere questa fascinazione, legata alla scoperta che «le piante viaggiano. Soprattutto le erbe. Si spostano in silenzio, in balìa dei venti. Niente è possibile contro il vento. Se mietessimo le nuvole, resteremmo sorpresi di raccogliere imponderabili semi mischiati di loess, le polvere fertili. Già in cielo si disegnano paesaggi imprevedibili» (p. 17). Dunque le piante si muovono, non come singolo esemplare ma come insieme di individui, ed è un insieme tenace e temerario, una carovana di pionieri in grado di affrontare qualsiasi avversità. Clément pensa al nostro pianeta come a un grande giardino, teatro di milioni di quotidiani incontri, di una vita frenetica e incontrollabile mai bloccata da confini definiti. Contro i ‘radicali dell’ecologia’, egli «vede nella molteplicità degli incontri e nella diversità degli esseri altrettante ricchezze apportate al territorio» (p. 18). In sostanza si tratta di accettare il fatto che lo spostamento e la conquista di nuovi spazi sono dinamiche naturali che implicano la vittoria di alcune specie e il soccombere di altre. Di certo ci può disorientare il parallelo con le migrazioni umane: «il mondo preoccupato grida all’invasione degli esseri venuti da luoghi lontani. Stranieri, piante, animali, come osate impadronirvi delle nostre terre?» (p. 101). Un bello spunto su cui riflettere. È pur vero che un’anima ecologica potrebbe vacillare, se posta di fronte all’amletica questione: il ginestrone recato dai colonizzatori britannici ha preso possesso della Nuova Zelanda, dovrà allora essere oggi sterminato, oppure sarà da considerare come uno dei tanti inevitabili cambiamenti all’interno del giardino terrestre? In fondo l’uomo è elemento che agisce sullo scenario così come fanno la pioggia e il vento; ne è parte integrante e determina con la sua presenza la maniera in cui il giardino cambia forma. Almeno, va da sé, finché un vero giardino ancora esisterà. La garanzia ce la può dare ancora una volta la conoscenza, perché dal conoscere viene il rispetto, anche per le piante.

Gilles Clément, Elogio delle vagabonde. Erbe, arbusti e fiori alla conquista del mondo, prefazione di Andrea Di Salvo, Roma, DeriveApprodi, 2010.

Le mie chiocciole: @@@@

Da regalare: per consolare chi riesce a sterminare anche le piante grasse