domenica 24 dicembre 2017

La bici e la cittadinanza

In questa stagione di buoni propositi, mi metto sempre alla ricerca di una piccola storia che mi dia coraggio, e immancabilmente la storia arriva. Mentre cammino sotto ai portici portando a mano una vecchia e scassatissima bicicletta, passo accanto ad un gruppetto composto da un padre con tre bambini di età compresa fra i quattro e gli otto anni, imbacuccati nei giubbotti e impegnati in una fitta conversazione. Al mio passaggio il più piccino si zittisce, attirato come una calamita dal mio mezzo di locomozione. Allunga una mano verso il sellino posteriore come se si trovasse di fronte ad una reliquia sacra.
Il padre, alle sue spalle, lo richiama: «Non si toccano le cose degli altri». Sorrido ad entrambi, facendo cenno di non preoccuparsi. L’uomo ricambia, si affianca e facciamo alcuni passi assieme. Il taglio della barba, l’abbigliamento, i tratti del volto dimostrano una provenienza orientale, forse il Pakistan. «A mio figlio piacciono le biciclette» mi spiega «ne avevo comprata una per lui. Bella, da Decathlon. Ma l’hanno rubata. Ed era dentro al cancello!».


Dopo averlo salutato, penso che il nostro parlamento sta commettendo un terribile errore, che sta facendo un torto a quello straniero, capitato a vivere in un paese che non riconoscerà ai suoi figli il diritto di cittadinanza, anche se sono nati qui, già parlano l’italiano come me e cresceranno studiando a scuola le stesse cose che ho studiato io.
La cosa più triste è che sono convinto della mala fede della nostra politica. Chi ha fatto affossare la legge sullo ius soli, lo ha fatto per un calcolo personalistico, per ammiccare ad alcuni elettori arrabbiati, magari anche giustamente arrabbiati, alla ricerca di un sacco sul quale scaricare i pugni. Quei politici però sanno che quella legge era una buona base su cui almeno discutere, ma hanno voluto presentarla del tutto diversa da come effettivamente è, le hanno dipinto una faccia falsa, quella che a loro faceva più comodo. O forse non l’hanno nemmeno letta.
Discriminare i bambini è un atto miope, oltre che tristemente grave, e non fa bene a nessuno, neppure ai “fortunati” che si trovano nel gruppo privilegiato. Se dovessi puntare sulla salvezza dell’umanità, come potrei affidarmi a persone che travisano le parole su un tema così fondamentale per il futuro, nel nome di un calcolo elettorale? Preferisco rivolgermi, senza conoscerlo per nulla, ad un padre straniero che continua ad educare il proprio figlio al rispetto degli altri, nonostante che il paese in cui abita non gli ricambi la cortesia ed entri dentro a casa sua per rubargli la bicicletta, o peggio ancora il sogno di dare un futuro di eguaglianza ai suoi bambini.


domenica 3 dicembre 2017

Una bella maglietta bianca

I campi di calcio sono stati ultimamente teatro di rappresentazioni fuori luogo, scene in cui si mescolano esibizionismo, simbologia, e una buona dose di cattivo gusto, per usare un eufemismo. Qualche domenica fa, Marzabotto è stata sconfitta due volte: nella partita contro il “65 Futa SSD Calcio” e nel gesto di uno dei suoi calciatori. L’incontro del campionato di seconda categoria dilettanti si chiude con il goal di Eugenio Lippi, il quale, correndo verso gli spalti, si toglie la maglia per scoprire una t-shirt nera con l’aquila nera della Repubblica di Salò. Evocare certi ricordi nel paese che ha conosciuto l’eccidio di 770 civili da parte dei nazifascisti, è una scelta che si commenta da sola.
Si dice che il calciatore abbia tentato di difendersi nascondendosi dietro l’ignoranza. Forse non sapeva cos’è accaduto a Monte Sole nell’autunno del 1944, forse non sapeva il significato dell’aquila impressa sulla bandiera italiana. C’è un vecchio adagio che recita: la legge non ammette ignoranza. Vorrei dire che anche la storia non dovrebbe ammettere ignoranza. Se scelgo di indossare un simbolo, un volto, una frase, e di portarlo in giro per le strade o su un campo di calcio, ho il dovere di sapere di quale messaggio mi sto facendo portatore.
E non è vero che serva aver fatto studi specifici, né che si debbano passare ore sui libri prima di infilarsi una maglietta. Ci sono vie più rapide e disponibili a tutti. Cito senz’altro L’uomo che verrà, il film diretto da Giorgio Diritti che racconta magistralmente quel tragico episodio. Casualmente proprio il giorno dell’uscita della notizia di Marzabotto, mia figlia venne a consigliarmi Primo Levi, una graphic novel di Matteo Mastragostino e Alessandro Ranghiasci. Lascio allora solo questo ulteriore suggerimento di lettura, che mi è parso arrivare con significativo tempismo.
Se Eugenio Lippi, e altri come lui, non hanno voglia di fare nemmeno questo minimo sforzo, non mi sento di obbligarli, ma do loro un consiglio: per la prossima partita, una bella maglietta bianca senza simboli o scritte, vuota, almeno per un motivo di coerenza.