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giovedì 15 ottobre 2009

La carta buona

Gli alberi sono le vedette silenziose della natura. Considerando il ruolo fondamentale da loro giocato nello smaltimento dell’anidride carbonica, e di conseguenza nell’arginare l’effetto serra, essi rappresentano il monito più efficace contro le ingiurie che seguitiamo a infliggere alla nostra povera Terra. Capita perciò, di tanto in tanto, al lettore esigente, di sentirsi terribilmente in colpa. Perché il lettore esigente è un feticista, un personaggio che con i libri ha un rapporto fisico, ama certe ruvidezze, certe plastificazioni; carezza gli spigoli, fa frusciare le pagine, annusa gli anfratti di colla e di carta. Ecco, la carta soprattutto. Il lettore esigente è ammaliato dal tocco della carta, non saprebbero farne a meno, ne vuole sempre di più. Ma per fare la carta ci vuole un albero, e tanti libri significano tante foreste abbattute.
Oggi, nel giorno che i blogger di tutto il mondo dedicano alla discussione sui cambiamenti climatici (www.blogactionday.org), forse allora dovrei starmene zitto e limitarmi ad un sommesso mea culpa. Fortunatamente gli attuali processi di produzione della cellulosa muovono da premesse nuove, e molte cartiere hanno fatto proprie le esigenze ecologiche e il rispetto dell’ambiente. L’applicazione di procedure "virtuose" nella fabbricazione della carta garantiscono ad esempio l’assenza di cloro e di metalli pesanti, oppure c’è la possibilità di rifornirsi di materia prima presso le cosiddette well managed forest. In queste foreste, non appena un albero viene tagliato ai fini della produzione di legno o carta, si provvede a piantarne un altro, in maniera da assicurare la sopravvivenza dell’eco-sistema nel suo insieme. Al processo di costante rimboschimento partecipano indirettamente anche i clienti, ossia nel nostro caso le cartiere. Anche in Italia i principali produttori si sono allineati a queste direttive, facendo sì che fare un salto in libreria oggi non significhi per forza abbattere un albero.
La buona notizia insomma è questa: il consumatore di libri non è per forza un criminale, e un piccolo contributo è possibile darlo, acquistando carta che presenti certificazioni ufficiali di sostenibilità ambientale e invitando i nostri editori preferiti a fare altrettanto.

Foto: abete 2 © F. Guarnieri

martedì 21 aprile 2009

L'uomo che cerca

Ci sono ingranaggi immensi sopra le nostre teste, ruote dentate grandi come Stati che stridono e stritolano, evidentemente manovrate da entità superiori, sfuggenti, intoccabili, contro le quali nulla è possibile. Eppure - a rifletterci siamo costretti ad ammetterlo - eppure quando fanno affondare una nave carica di rifiuti tossici, persino queste entità così potenti hanno bisogno dell’aiuto di tanti minimi esecutori, di singoli uomini che diano una piccola spinta all’ingranaggio. Allora è facile immaginare un portuale a La Spezia che osserva caricare la stiva, un impiegato della dogana che firma delicate autorizzazioni, un trasportatore che non si fa troppe domande, un marconista che finge di non capire certi messaggi, un capitano già pronto a lanciare l’SOS per una nave ancora attraccata, un armatore che quella nave non la sente più sua... Ognuno contribuisce con una piccola spinta, e la somma di esse costringe lo scafo mugghiante sott’acqua. O almeno così loro vorrebbero. Ma la nave si oppone, lotta disperata per non affondare, si appella ad una qualche legge d’Archimede e alla fine ce la fa, si spiaggia sulla costa calabrese come una balena morente.
Quello scafo inclinato nella sabbia solleva molte domande e a raccoglierle è pronto un altro uomo, ignaro della dannata matassa in cui si sta per infilare. Lucarelli ama seguire le orme di uomini travolti da vicende torbide e sempre troppo grandi per due sole spalle. Stavolta tocca al capitano di corvetta Natale De Grazia. Per raccontare la sua storia, purtroppo, non serve inventare nulla, bastano ritagli di giornale ed estratti da documenti ufficiali, basta mettere in fila i "fatti". Ciascuna frase potrebbe essere l’ultima, conchiusa e in sé innocua, sotto la penna di Lucarelli, ma la catena degli eventi viene di continuo riaperta, basta un dubbio, un avverbio, e tutto si rimette in discussione. È il modo caratteristico di rappresentare un mondo criminale fluido, sfuggente a qualsiasi tentativo di ingabbiamento. Per non smarrirsi meglio rimanere ai fatti, appunto, fatti nudi e crudi, ma affiancati uno all’altro con accortezza, sollevando così un nugolo di sospetti. Lucarelli non punta il dito, non accusa apertamente nessuno, ma lascia al lettore gli elementi necessari per poterlo fare. Dà tutti gli indizi senza svelare il mistero: quando si passa dalla fiction alla cronaca, si diventa giallisti al contrario.
Il capitano di corvetta Natale De Grazia è l’uomo che cerca. Colui che non si accontenta delle verità preconfezionate, che non sa far tacere la propria coscienza, che ascolta le domande della nave e per avere delle risposte ci gioca sopra tutta la sua vita. In questo racconto di “fatti” altri nomi noti vengono a galla, come quello di Ilaria Alpi, e con essi la memoria di vicende tristi non ancora chiarite. Navi a perdere non si cura di dare un quadro chiaro e completo, non ha tutte le risposte da calare come un poker alla pagina finale, semplicemente ci ricorda la necessità di tenere viva l’attenzione civile perché «gli uomini che cercano, finché continuiamo a farci le loro domande, non muoiono mai» (p. 102).

Carlo Lucarelli, Navi a perdere, Milano, Edizioni Ambiente, 2008, pp. 124.

Le mie chiocciole: @@

Da regalare: a chi per pigrizia si oppone alla raccolta differenziata