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mercoledì 23 febbraio 2011

Passato o futuro?

Leviathan, il nuovo romanzo di Scott Westerfeld, appartiene al genere ‘ucronia’, o storia alternativa. La svolta rispetto agli eventi avvenuti nel mondo reale si verifica all’epoca di Darwin, cui sono attribuite anche le scoperte di Watson e Creek sul DNA, in realtà accadute nel 1953. L’evoluzione delle tecnologie viene conseguentemente accelerata e modificata, e insieme ad essa anche la forma mentis delle persone, in tutte le sue sfumature. Scopriremo i ‘luddisti delle scimmie’, avversi per principio religioso agli animali geneticamente modificati; i colti ‘cigolanti’, che giudicano «un mucchio di idiozie» le teorie sul DNA; e all’estremo opposto chi si rifiuta di credere che un tilacino sia un animale naturale o ritiene che stare dentro un animale morto (i.e. un involucro di cuoio) sia «molto peggio» che essere all’interno di un animale vivo.
La scelta di alternare i punti di vista dei due personaggi principali offre una soluzione ideale ad una trama dai frequenti cambi sia di scena sia di prospettiva. Ad essi si intonano le illustrazioni di Keith Thompson, che con il loro stile e la scelta del bianco e nero evocano suggestioni del periodo della Grande Guerra in cui il romanzo è ambientato. 
Nella migliore tradizione dell’ucronia, l’autore si diverte a strizzare l’occhio alla nostra linea temporale. In Leviathan si sono sviluppati ‘camminatori da guerra’, e un giovane protagonista si trova a pensare: «E se no, come poteva muoversi una macchina da guerra? Sui cingoli, come i trattori di una volta? Che idea assurda». Lodevole l’accurata postfazione, in cui Westerfield specifica sin nei particolari i mutamenti apportati alla realtà dei fatti, al punto da stimolare nel lettore la voglia di riprendere un libro di storia, nel tentativo di anticipare i possibili sviluppi della trama del prossimo, atteso libro.
Può suonare paradossale, ma l’autore approfitta di una versione alternativa del nostro passato per aprire – senza pesantezze o palesi prese di posizione – la discussione sulle possibilità per il futuro. L’ostilità di alcuni alle teorie darwiniane e gli scrupoli religiosi rispetto alla manipolazione genetica sono temi d’attualità, purtroppo spesso affrontati barricandosi dietro pregiudizi da entrambe le parti. Westerfeld, grazie alle sue icastiche descrizioni, permette di immaginare facilmente un mondo in cui la manipolazione genetica è realtà, già nel romanzo posto a confronto con un tipo di società che la rifiuta. Farsi affascinare dalla prospettiva darwinista, indipendentemente dalle proprie convinzioni, è una possibilità – o, nell’ottica di qualcuno, un ‘rischio’. Più interessante ancora: alla fine del volume s’intravede una possibile integrazione fra le due mentalità. Vedremo se sarà in tale direzione che si svilupperà la promessa continuazione della serie, benché l’impostazione sia quella di uno scontro di civiltà. Se Westerfeld seguirà questa linea, e soprattutto se saprà farlo in modo credibile e coerente, il valore di quella che altrimenti rischierebbe di essere l’ennesima serie fantasy, per quanto ben scritta, salirà esponenzialmente.
(Post di Elena Piatti)

Scott Westerfeld, Leviathan, Torino, Einaudi, 2010.

Le mie chiocciole: @@@      

Da regalare: all’amico che sotto la doccia canticchia La storia siamo noi

mercoledì 17 novembre 2010

La biblioteca di frodo

E' tempo di sospendere il credibile e mettersi ad inseguire storie di un passato che non è mai stato, di un futuro ignoto, temuto o vagheggiato, di terre così lontane nello spazio e nel tempo da non aver mai udito parola umana. Storie raccolte e commentate da Elena Piatti, nella biblioteca di frodo.

AAA Mondo cercasi
Il dardo e la rosaIl Dardo e la Rosa, di Jacqueline Carey, avrebbe potuto essere un bellissimo romanzo. Purtroppo, l'autrice ha scelto il genere fantasy. La Carey ha talento nel disegnare i personaggi, ai quali è facile affezionarsi. Tra i tanti, mi concedo l'unica menzione speciale per Alcuin, che in alcune pagine rischia di farsi preferire alla protagonista. L'autrice, inoltre, è in grado di creare intrighi che alimentano la suspense e in un altro contesto basterebbero a garantire che il lettore non lasci il libro prima di averlo terminato. Avrebbe potuto fare lo sforzo di adattare i particolari del suo intreccio ad una detereminata epoca storica, creando un ottimo romanzo storico; invece ha preferito scrivere un romanzo fantasy, ambientandolo in un mondo di sua creazione per evitare di dover curare la verosimiglianza storica. Almeno questa è la giustificazione apparente, alimentata – fra le altre cose – dal fatto che nel volume i tratti tipicamente fantasy potrebbero essere eliminati o sostituiti senza alterare la natura della trama. A libro terminato l'impressione è che l'autrice abbia realizzato meno di quel che poteva per mancanza della pazienza necessaria nella cura dei dettagli. E questo suo difetto ha rovinato l'opera al punto che dopo le prime trenta pagine si ha l'istinto di buttare via il libro – rischiando seriamente di perdersi tutto il resto.
Infatti il ‘mito fondatore’ della società descritta nel libro è un guazzabuglio di cui è purtroppo troppo facile isolare gli ingredienti. Una base abbondante di Dan Brown, unita ad un accenno di mitologia greca. Infine, per insaporire il tutto, una buona dose di erotismo, che lungo le pagine accentuerà sempre più  – ma senza trascendere ad eccessi – il proprio carattere sadomaso.
Un altro evidente difetto del volume non si lascia ahimé dimenticare una volta digerite – o dimenticate – le prime trenta pagine. La storia è ambientata in un mondo di propria creazione, ma  sin dalla mappa i dubbi in proposito assillano il lettore. È vero che è difficile inventare un universo senza ispirarsi a quello reale, ma qui si tratta di ricalco. Trovare nella cartina, e al posto giusto, Eire, Aragonia, la città chiamata «La Serenissima», rende difficile quell'estraniamento dalla realtà che un universo fantasy dovrebbe garantire. Sentir parlare nel testo di «continente europano» spinge chiunque di primo acchito (combinato con la cartina, per di più) a lamentarsi del refuso. Accorgersi che di refuso non si tratta e pensare che, probabilmente, nell'originale inglese l'impressione di refuso era ancora più forte (scommetto che il continente è europan anziché european), porta ad una sola conclusione. Jacqueline Carey sottovaluta i lettori di fantasy, considerandoli un pubblico non esigente. O, peggio, considera il fantasy un genere-discarica a cui non vale la pena sacrificare eccessiva cura. Ma non è sufficiente cambiare solo un paio di nomi e inserire qualche essere con poteri più o meno soprannaturali per scrivere un buon fantasy.
Un bel libro rovinato dalle trascuratezze dell'autrice, evidentemente priva della perizia che le avrebbe fatto meritare l'elogio di un giornale americano, riportato in copertina, che la assurge pomposamente «nell'empireo dei grandi autori fantasy», luogo in verità a lei inesorabilmente precluso.
(post di Elena Piatti)

Jacqueline Carey, Il dardo e la rosa, Milano, TEA, 2007

Le mie chiocciole: @

Da regalare: al compagno di banco che conosceva a memoria tutte le capitali del mondo.