venerdì 15 ottobre 2010

Interni danesi

Una strada ha molte dimensioni: la lunghezza del suo svolgersi dal centro verso la periferia; l'altezza dei palazzi o delle villette che la costeggiano; la profondità delle vicende umane celate dietro ad ogni porta. Basta scegliere una strada fra le tante, ad esempio la Dantes Allé a Copenaghen, e percorrerla con l'attenzione e la pazienza di uno scrittore, per trarne centinaia di piccole storie, una topografia minima delle esistenze, degne di racconto non tanto se prese ciascuna per sé, ma nell'insieme, per accumulo e stratificazione, per i piccoli rimandi da una facciata a quella di fronte, per il confronto tra gli infiniti modi di riempire le nostre giornate.
Simon Fruelund esplora la Dantes Allé con precisione metodica – benché si tratti di una via immaginaria – seguendo l'ordine dei numeri civici, da 1 a 86. Dietro ciascuna porta getta uno sguardo essenziale, privo di fronzoli, che sa però tratteggiare in poche frasi un ritratto di famiglia, spesso minima, se non addirittura ridotta ad una sola persona. Un paesaggio nella sostanza desolato, nonostante i bei giardini curati, le intelaiature bianche delle finestre, i bollitori appena spenti per accogliere le foglie seccate del té. La sequenza è mesta, come un'ordinata Spoon River danese, senza lapidi né lastre, eppure a volte più immobile e sconsolata della collina raccontata da Edgar Lee Masters.
D'altronde, e non è un caso, la strada è il viale di Dante: incamminarsi lungo i suoi marciapiedi sarà quasi come imboccare un girone di anime, se non dannate, perlomeno un po' infelici. A questo allude il titolo del volume (composto da tre racconti), il crepuscolo civile rimanda al declino umano, prossimo alla sua fase estrema. Fruelund non dà segno di dolersene particolarmente: registra in maniera asettica, presenta le cose come stanno, fotografa, e lascia ogni commento all'atmosfera della foto, al modo in cui la luce colpisce l'occhio del lettore. Sembra difficile potersi appassionare a questi racconti senza trama, a questo andare ondeggiante privo di qualsiasi culmine, dal cancello con il numero uno passeggiando fino ai campanelli dell'86, sbirciando dietro le tende, spiando nelle fessure; eppure così avviene, con la medesima malìa che rende piacevole il monotono cullare delle ninne-nanne.
I riferimenti a Dante sono diversi, disseminati fra un civico e l'altro: c'è un tale che ha letto la Divina Commedia, e l'ha preferita di gran lunga al Don Chisciotte, perciò è felice di non abitare nella Cervantes allé (nr. 60); c'è chi ha un aliante personale e una moglie svedese con «lo stesso nome del grande amore di Dante» (nr. 76); infine – nessun italiano oserebbe tanto – scopriamo un infermiere che, dopo essersi trasferito, acquista la Commedia: «il ritratto di Dante con il naso lungo, le labbra sottili e l'espressione corrucciata lo fece quasi rinunciare in partenza. Non aiutò il fatto che il protagonista piangeva per un nonnulla, ammutoliva di compassione o era colpito da sudori freddi ogni volta che incontrava una delle anime perdute. Dopo che era svenuto due volte in appena dieci pagine, l'infermiere pensò: è peggio della peggiore donnetta» (nr. 37).
Nel terzo testo, Freulund indaga anche una dimensione cronologica dei luoghi, nel senso che i luoghi con il tempo cambiano: prima sono boschi solitari, poi radure aperte a colpi d'ascia, quindi spazi per rozzi accampamenti... La storia è un percorso poetico ideale attraverso le età dell'uomo, dalle radici dell'albero druidico alle fondamenta del condominio in periferia. E non stupisce che seguire questo cammino condensato in poche pagine, faccia salire alla gola dell'amara nostalgia.

Simon Fruelund, Crepuscolo civile, Villa San Secondo (AT), Scritturapura, 2008

Le mie chiocciole: @@

Da regalare: al responsabile comunale della toponomastica

Nessun commento:

Posta un commento