martedì 1 marzo 2011

Benedetto XVI vs Dan Brown

Pillola rossa o pillola azzurra? Da un momento all’altro, ci scommetteresti, spunterà Morpheus da dietro l’affresco della finta sala sistina e ti porrà la domanda. La voce suadente, il ritmo della musica, la semioscurità, ogni curato particolare ti hanno condotto al cospetto della ‘verità’, ora non ti rimane che trovare il coraggio di affrontarla. È davvero un’esperienza figlia di Matrix la visita alla mostra «Conoscere la Biblioteca Vaticana: una storia aperta al futuro», aperta sino al 13 marzo 2011 nel Braccio di Carlo Magno (Roma, piazza San Pietro). Questa la chiave di lettura scelta per ribattere a tante leggende metropolitane relative ad una delle più antiche e prestigiose biblioteche del mondo, nonché – per quanto mi sembra – per rispondere alle insinuazioni più recenti conseguite all’uscita de Il codice Da Vinci di Dan Brown, un best-seller che deve parte della sua fortuna al ritratto in tinte oscure con cui presenta le istituzioni vaticane.
Fondata nel 1455 da papa Niccolò V, la BAV – come viene affettuosamente chiamata da chi la frequenta – ha invece fin dall’inizio espresso una chiara volontà di apertura al pubblico, come si evince dal motto Pro communi doctorum virorum commodo, vale a dire a vantaggio di tutti gli uomini dotti. La fedeltà a tale principio è rimasta pressoché costante, per cui è facile innanzitutto sfatare alcuni ‘miti’. La Biblioteca Vaticana è interamente consultabile, non ha sezioni segrete o magazzini inaccessibili, e ciò che viene interdetto al pubblico lo è solo temporaneamente e per motivi di conservazione o restauro. Ottenere una tessera d’ingresso non prevede una serie di passaggi assimilabili all’affiliazione ad una loggia segreta, si tratta semplicemente di dimostrare delle specifiche necessità di studio ed esibire una lettera di presentazione di persona (anche laica!) qualificata. Insomma lasciate pure in pace vostro prozio monsignore e non tentate di farvi venire le stigmate, fatiche inutili dato che la procedura d’accesso è esattamente la stessa che vi richiede qualsiasi biblioteca nazionale. Fra gli scaffali della BAV incrocerete inoltre persone d’ogni fede e nazionalità, accolti allo stesso modo per usufruire di un patrimonio di circa un milione e mezzo di libri stampati e 80.000 manoscritti.
A ragione dunque la mostra punta sulla presentazione della filosofia che da secoli governa la Biblioteca Vaticana, ma lo fa servendosi molto, direi troppo, di frasi ad effetto e di clip da trailer cinematografico. L’effetto può essere affascinante per il turista del tutto a digiuno rispetto al mondo del libro, risulta invece a tratti ridicolo agli occhi e alle orecchie di un qualsiasi lettore esigente. Soprattutto spiace che altisonanti digressioni abbiano tolto spazio e attenzione a testimonianze scritte fra le più rilevanti nella storia dell’umanità. Voglio dire, quand’anche presentato in facsimile, una riflessione sul codice B non avrebbe guastato, considerando trattarsi di uno dei più antichi manoscritti della bibbia in greco; due parole sulla copia dell’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna nell’edizione del 1499, spesso definito il più bel libro a stampa mai prodotto, mi sarebbero parse d’obbligo; senza contare la carrellata su diverse scritture utilizzate attraverso i secoli, una carrellata lasciata passare quasi sotto silenzio. Al contrario, nella sezione dedicata alla collezione numismatica, l’approfondimento c’è, ed è pure insistito in un video sulla monetazione in uso in Palestina ai tempi di Gesù, allo scopo di svelare quale tipo di conio Giuda ricevette in cambio del suo tradimento. Appendice interessante, peccato per la chiusa sull’uso etico del denaro (da che pulpito, direbbero i maligni…) che la trasforma in una lezioncina morale alquanto antipatica per un visitatore pagante.
Il percorso espositivo insiste sul ruolo di tutela e valorizzazione esercitato dalla BAV e cerca di rendere giustizia ad un’istituzione culturale che, per certi versi, è stata e continua ad essere all’avanguardia nella promozione della ricerca, contraddicendo appunto un certo qual sentire comune. Se poi un allestimento che scommette tutto sull’effetto e sulla facile emozione sia stata la scelta migliore, è un fatto tutto da dimostrare. Non è tuttavia escluso che il buon Benedetto XVI, dovendo rispondere a Dan Brown, abbia davvero fatto la mossa più azzeccata mettendo in campo gli stessi strumenti di fascinazione dello scrittore americano; peggio per noi che non sappiamo goderceli.

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