domenica 23 gennaio 2011

Va' pensiero

Perché le cose sono come sono? Dio esiste ma è occupato? Il potere spetta ai bravi o ai furbi? Conviene mangiare salsiccia a colazione? Ponete le vostre domande 'gravi' alla rubrica Va' Pensiero; a cercare le risposte ci si è messo Tommaso Codignola.

Il gatto è un topos
Questo è un libro d’altri tempi. Non per gli argomenti che affronta, quanto mai attuali e dibattuti, né per gli strumenti e le letture cui ricorre, anch’esse aggiornate fuor di ogni possibile dubbio, ma per l’impostazione generale. Sembra il libro di uno di quei medici (leggasi, fisici, matematici, ‘filosofi naturali’), che fiorirono particolarmente in terra di Francia tra il XVII e il XVIII secolo e sul cui lavoro poté ergersi l’edificio maestoso e sublime della filosofia francese di quel periodo, da Montaigne a Pascal e Descartes, da Montesquieu a Voltaire, da Diderot a Rousseau. Si respira nelle pagine la stessa ricerca disinteressata di conoscenza e comprensione, la stessa ariosa lontananza dal clima forzatamente un po’ asfittico degli studi dei professionisti del sapere, delle ponderose monografie critiche, vi è qui il gusto nobile dell’hobby presente in così tante e importanti delle vere opere di filosofia di ogni tempo e nelle vite dei loro autori, spesso filosofi a tempo perso, con scarsa o nulla collocazione accademica, e però dediti al gioco serissimo della filosofia. Tra i libri più recenti, questo di Baldereschi me ne ricorda uno uscito pochi anni fa per Adelphi, che ho avuto il privilegio di tradurre, L’immagine del mondo nella testa di Valentin Braitenberg, lui sì effettivamente medico per formazione, ma poi studioso tutta la vita del cervello. Quasi li si potrebbe leggere en pendant: Braitenberg su fisica e biologia, Baldereschi su linguaggio e matematica. E veniamo così al punto: di che parla questo libro? Di linguaggio e di matematica, come detto, o forse meglio di linguaggi naturali e di linguaggi formali, tanto che il volume è anche graficamente diviso in due parti: nella prima filosofia del linguaggio, nella seconda filosofia della matematica.
Non si tratta, però, di una mera giustapposizione, di due interessi dell’autore riuniti per l’occasione in corpo unitario. C’è invece una questione comune, un’unica questione, che attraversa le pagine da cima a fondo, ed è questa: fino a che punto i segni possono allontanarsi dalla rappresentazione senza perdere di significato? O anche, in altri termini: di quanta autonomia gode il linguaggio, su quali presupposti extralinguistici e nondimeno afferenti al nostro sistema cognitivo esso riposa? Si tratta niente di meno che del tema centrale su cui si è consumata la svolta fregeana (il ben noto linguistic turn) nei confronti della semantica tendenzialmente pittorialista della prima modernità: un conto è il significato (Sinn), oggettivo e pubblico, altra cosa la rappresentazione (Vorstellung), soggettiva e privata, che con quello non ha nulla a che fare. Semantica (e logica) da un lato, psicologia del pensiero dall’altro sono campi da distinguere con tutta la nettezza possibile: la rappresentazione non è il significato, la psicologia del pensiero come sapere meramente descrittivo non ha nulla a che vedere con la logica e la semantica in quanto discipline normative. Ebbene, la posizione di Baldereschi è esattamente contraria: la rappresentazione è il significato, o almeno vi concorre in maniera determinante, in particolare in quei compiti referenziali, cioè di applicazione dei nomi al mondo, costruiti sull’atto cognitivo primigenio: il riconoscimento. Qualcosa, una x, è riconosciuto come qualcosa, l’elemento della classe individuata da un concetto (nome comune) o come se medesimo (nome proprio). A più riprese, e non senza ragione, l’autore si dice consapevole che una posizione di questo tipo è oggi minoritaria: in particolare presso gli studiosi di orientamento analitico l’idea appare un inaccettabile passo indietro verso forme di razionalità che si credevano ormai superate, riapre la porta a entità metafisicamente dubbie ed epistemologicamente opache (non accessibili a controllo intersoggettivo) come le rappresentazioni mentali, non rende conto degli elementi normativi del significato, cui Frege prima, al prezzo pur alto del suo platonismo, e Wittgenstein poi, col discioglimento cognitivo del significato nelle prassi linguistiche di una comunità culturale, sembravano aver saputo offrire una spiegazione. Ma il fronte degli analitici non è più così compattamente antirappresentazionale, mentre al contempo dalla psicologia cognitiva è venuto un potente impulso a ridiscutere da capo, e in forma anche radicale, i termini della questione: si pensi a uno psicologo come Johnson-Laird, a linguisti come Lakoff, Langacker e Talmy, a filosofi come Mark Johnson.
D’altronde Baldereschi ha una risposta al quesito: se il significato è la rappresentazione, di dove l’intersoggettività? Ed è una risposta di buon senso: non è necessario, come vuole Frege e gli analitici con lui, che i significati siano identici, basterà che siano abbastanza simili da permetterci l’intesa ai fini pratici delle nostre comunicazioni. Una nozione che nel gergo tecnico viene chiamata oggi convergenza semantica e che trova sempre più sostenitori (lo stesso Chomsky, cui pure non vanno le simpatie teoretiche di Baldereschi).
Questo del rapporto tra significato e rappresentazione, cioè tra linguaggio e sua capacità semantica, è in effetti il filo conduttore, ma niente affatto l’unico tema affrontato dal libro, che tocca invece il rapporto tra le nostre capacità cognitive e quelle degli animali a noi filogeneticamente più vicini (e neppure troppo ‘vicini’, se l’esempio più ricorrente è quello di un gatto, il gatto dell’autore, animale filosofico par excellence, come ci ha ricordato Benedetto XVI), e poi le forme delle memoria (acustica, visiva, olfattiva, ecc.), l’apprendimento linguistico, l’ontologia del numero, le difficoltà della teoria degli insiemi, alcune riflessioni davvero sottili su identità e uguaglianza, nonché in chiusura una bellissima (e plausibile) congettura sulle origini della nozione di ‘peccato’ dalla danza. C’è però un aspetto, per tornare all’inizio, che rende il libro effettivamente particolare al di là delle singole tesi, cioè che esso, come i libri autentici di filosofia, a conclusione di ogni paragrafo quasi costringe chi legge a chiudere un istante il volume tra le mani e a domandarsi: ha ragione, stanno davvero così le cose?
(post di Tommaso Codignola - dalla prefazione al volume)


Guido Baldereschi, Discorrendo della sapienza di Homo sapiens. Appunti, spunti e congetture per una storia naturale dell'umanità degli uomini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010.

Le mie chiocciole: @@@

Da regalare: alla tenutrice della colonia felina comunale.

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