giovedì 20 gennaio 2011

La lettura punitiva

Non so se Christoph Mangelsdorf condivida l’idea che la lettura abbia una notevole carica educativa, intendendo proprio ‘educativa’ e non semplicemente istruttiva. Eppure mi sembra palese il suo essere paziente maestra a cui non è dato usare la voce, ma che sa parlare col silenzio. La lettura insegna a stare fermi, a concentrarsi; insegna il gusto di arrivare con lentezza al cuore di una storia, con il medesimo metodico passo di chi sale ad una vetta. Nel leggere c’è un’evidente educazione sia mentale sia fisica.
Non so appunto se questo sia stato il primo pensiero di Mangelsdorf, giudice minorile di Fulda, quando ha deciso di infliggere ad alcuni giovani colpevoli di piccoli reati, la pena di leggere romanzi. Anziché le classiche ore di lavoro socialmente utile, una poltrona e un libro, con l’obbligo d’arrivare sino all’ultima pagina. Come ha dichiarato in un’intervista alla radio tedesca (qui il testo completo), il giudice ha intravisto in questo sistema la strada per ottenere dei risultati altrimenti non raggiungibili, cercando cioè non solo di «punire ma anche di educare». Era infatti emerso come i vari generi di condanne fino ad allora applicate, non aiutavano i ragazzi ad affrontare i problemi da cui scaturiva il loro disagio sociale, rischiavano anzi di aumentare la frattura tra il loro modo di comportarsi e i modelli imposti dagli adulti. La lettura poteva invece permettere di dare una spiegazione ai loro errori.
Il libro funziona allora come una sorta di cavallo di Troia che penetra nella comprensibile diffidenza di chi viene condannato in giovane età ed è spesso privo dei mezzi per dare un corretto giudizio di ciò che gli accade. Per accentuare l’effetto, la scelta delle opere è stata fatta escludendo testi pedagogici o di esplicito indirizzo educativo, preferendo romanzi di successo – come ad esempio La fabbrica del male di Jan Guillou – vicini ai gusti attuali dei ragazzi e che sollevassero domande del tipo “cosa avrei fatto io in quella situazione?”. Non a caso il progetto prevede una procedura in diverse fasi: dopo la lettura, da completare entro un certo periodo, è necessario stendere una breve sintesi e poi rispondere ad una serie di domande. Maggiormente interessante è tuttavia la fase successiva che consiste nello stimolare una discussione, un dialogo al fine di indurre a confidarsi, a far venire a galla i pensieri più reconditi.
Nel progetto si intravvede dunque una valenza psicologica non indifferente, e a conferma di ciò va sottolineato come la scelta di subire questa punizione rispetto ad un’altra, è del tutto volontaria. I ragazzi possono scegliere di leggere, mai esservi obbligati; è un’alternativa che devono loro stessi preferire, facendo pensare appunto a uno dei principi cardine della psicanalisi, ovvero la volontà del soggetto a sottoporvisi. I primi risultati, a sentire Mangelsdorf, sono stati incoraggianti, viene però da chiedersi se in questo modo non si rischi di far odiare la lettura, di trasformarla in uno ‘strumento di tortura’. Spesso il libro è un oggetto alieno per i giovani che hanno problemi con la giustizia, l’averci a che fare si presenta quale esperienza quasi inedita. Personalmente credo possa accadere, in qualche caso, come avviene con certi sciroppi per la tosse grassa. I bambini vi si accostano diffidenti, storcono le labbra, fanno spuntare la punta della lingua a saggiare il cucchiaino, raccolgono una goccia e a volte scoprono che non è poi così male, che, toh, sa di fragola. Il progetto tedesco, che è l’esito in verità di diverse precedenti esperienze, potrebbe perciò produrre positive ripercussioni in diverse direzioni e offrire un modello da imitare, magari anche nel nostro paese.

Foto: Sbarre azzurre © Serena Groppelli

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