mercoledì 21 aprile 2010

Sei parole

La poesia la frequentiamo poco, troppo poco. I nostri maestri hanno ormai smesso d’insegnarci il bene che può venire da una poesia e anche noi siamo infine impigriti, spaventati dal suo dire le cose – vere, profonde – con una sincerità che ci disturba. Eppure la poesia è prosa distillata, è succo del succo, è messaggio che più d’ogni altro colpisce nel segno; non dovremmo abituarci a farne a meno.
Voglio fare un omaggio ad una poesia che fino a ieri non conoscevo. Mi è arrivata sotto agli occhi per caso, ed è sempre bello quando succede. Leggevo di una signora, quella della foto qui a fianco, nata nel North Carolina nel 1920. Eleanor Ross Taylor, così si chiama, si è tolta una bella soddisfazione: ha vinto il premio Ruth Lilly della American Poetry Foundation, un riconoscimento di alto livello particolarmente interessante anche dal punto di vista economico, dato che prevede un assegno da 100.000 dollari tondi tondi. Questa conquista, raggiunta a novant’anni (mai perdere la speranza!), è diventata una notizia nella notizia. In verità non si tratta di una sorta di terno al lotto, né di un riconoscimento tardivo, la nostra poetessa di soddisfazioni del genere ne ha avute diverse altre nella sua lunga vita, e non è detto non punti ad incrementare ancora la collezione.
La poesia la trovate qui sotto, a quanto so è inedita in Italia, ed è per questo che dovrete accontentarvi di una traduzione improvvisata, anche libera, ma vi assicuro sincera (per chi sapesse far meglio, ecco il testo originale). È in quella domanda alla fine che rintocca, per come la immagino, la forza della poesia. Bastano sei parole per rimanere così, un po' imbambolati, a chiederci chi siamo.


Ultimo atto

No, l'anima non lascia il corpo.

È il mio corpo a lasciare l'anima.
Stanco di trasformare pollo fritto e
caffè in muscoli ed escrementi,
stanco di nascondere le lacrime, di tergerle,
stanco di aprire gli occhi su un altro giorno,
stanco soprattutto di quel cuore di carne,
che pompa, che pompa. Di più,
di quel cervello che rimescola incubi.
Il corpo si prepara:
sgancia, spegni, cancella.

Ma allora, credo, un impercettibile litigio
prende vita.
L’anima pare agitare il pugno.
Vuole il cervello? Reclama sogni e incubi?
Si appella ad una clausola che dimostra il suo diritto?

Ci sarà uno scontro. Una lotta mortale.
Sappiamo, ovviamente, chi vincerà. . .

Ma chi è invece, che osserva?

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