sabato 13 marzo 2010

Istoriando

Primo appuntamento con la rubrica Istoriando, affidata alle cure di Raffaele Liucci. Spazio ai libri che riflettono sul passato, a caccia di nuove chiavi per decifrare la Storia.

Una discesa agli inferi della Repubblica
La teoria del "doppio Stato", per spiegare la stagione delle stragi italiane, ha spesso sollevato severe obiezioni: dietrologica, prevenuta, comunque troppo astratta e schematica. Ora un libro di Gianni Barbacetto affronta il problema da un’angolatura più empirica: un lungo viaggio nelle stragi italiane attraverso la foresta di carte giudiziarie che hanno partorito. Almeno quattro le chiavi di lettura suggerite da quest’opera, vergata con una penna cristallina, nonostante la materia intricatissima.
Innanzitutto, viene smentito un luogo comune tenace, ossia che sulle stragi si sappia pochissimo. È vero, quasi tutti gli imputati sono stati assolti, ma per l’incompletezza delle prove, non perché le giurie abbiano declassato a «teoremi» le ricostruzioni dell’accusa. La stessa sentenza della Cassazione, che nel 2005 ha ratificato le assoluzioni per l’eccidio di Piazza Fontana, ha tuttavia confermato la firma inequivocabile di Ordine nuovo, il gruppo neofascista fondato da Rauti. Idem per l’attentato alla Questura di Milano nel ’73. Insomma, i colpevoli sono stati individuati, ma non condannati.
In secondo luogo, Barbacetto mette in dubbio che la destra gravitante intorno al Msi abbia davvero rappresentato il «polo escluso» della politica italiana. Piuttosto, ha funzionato da «polo occulto». Numerosi e irrituali, infatti, sono stati i legami di alcuni uomini-chiave dei Servizi e delle Forze Armate (da Miceli a De Lorenzo) con la galassia neofascista. Segno d’un «consociativismo» gestito nei sotterranei del Palazzo.
Giungiamo così al cuore del discorso: è davvero esistito un "doppio Stato"? No, se con ciò intendiamo un organismo monolitico, retto da un pittoresco "grande vecchio", tessitore d’un complotto globale. Sì, se invece pensiamo ad un network: un intreccio di poteri criminali, Servizi deviati e manovalanza nera, «che si scompone e ricompone di volta in volta», per condizionare gli equilibri politici in senso moderato, agitando lo spettro del golpe (possibile, ma improbabile). Le carte processuali, del resto, sono inequivocabili: «Decine d’indagini hanno ormai dimostrato che senza l’ombra dei Servizi di sicurezza e le coperture internazionali, non una delle stragi italiane sarebbe stata commessa e che, se commessa, non avrebbe potuto rimanere impunita».
Infine, questo libro richiama una riflessione sulle enormi potenzialità del giornalismo, ormai sempre più svilito a voce padronale o salottismo televisivo. In fondo, negli ultimi decenni, gli unici ad essersi davvero "sporcati le mani" con la realtà sono stati i magistrati e i grandi giornalisti d’inchiesta. A queste due categorie di "intellettuali" dobbiamo alcune delle più penetranti letture della società italiana ed è ragionevole pensare che, pur con le dovute precauzioni, i loro frutti migliori costituiranno una fonte ghiotta per i futuri storici.
La strage alla Banca dell’Agricoltura tenne a battesimo una generazione di cronisti democratici. Uno degli effetti di quell’impegno era stato Le bombe di Milano, il primo libro uscito su Piazza Fontana, nell’aprile ’70. Riuniva i contributi di un magistrato (sotto pseudonimo), un avvocato (Luca Boneschi) e dieci giornalisti, Giorgio Bocca, Camilla Cederna, Marcello Del Bosco, Marco Fini, Giorgio Manzini, Marco Nozza, Giampaolo Pansa, Ermano Rea, Aristide Selmi e Corrado Stajano (uno dei primi ad entrare nella banca sventrata dall’esplosione, fra calcinacci fumanti e cadaveri smembrati, come ha raccontato nel suo ultimo lavoro, La città degli untori). Fu anche grazie a loro se non passò, nell’opinione pubblica, l’idea che l’attentato fosse opera dei "rossi".
Riletti oggi, diversi interventi conservano lo smalto originario. Come il ritratto dell’anarchico Pinelli abbozzato da Stajano: una vita da ferroviere, una casa modesta ma dignitosa, una cerchia d’affetti, «pochi soldi e molta fantasia». Un altro mondo, rispetto alle incipienti caste sindacali e partitiche. Magistrale pure la cronaca, firmata da un Pansa d’annata, dei gravi incidenti in cui il 19 novembre ’69 morì l’agente Annarumma e del suo funerale, cassa di risonanza per i fascisti, che trasformarono il giovane poliziotto in un loro martire. È come se, per un fosco presagio, in quei giorni si fossero materializzate le ombre dei lunghi anni Settanta. Da un lato, studenti eccitati che cominciano ad ignorare il confine tra violenza difensiva e offensiva. Dall’altro, cittadini "moderati" che esortano i picchiatori neri a sbarazzarsi dei "comunisti". Sullo sfondo, un isterismo montante che avvelena l’aria. Il tunnel stava per essere imboccato.
(post di Raffaele Liucci)

Gianni Barbacetto, Il grande vecchio, Milano, Rizzoli, 2009.
Le bombe di Milano, Milano, Rizzoli, 2009.

Chiocciole: @@@@

Da regalare: a chi per non sbagliare, dà sempre la colpa agli stessi.

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