
La realtà della nostra politica è caratterizzata purtroppo da tante buone intenzioni frustrate. Non solo, molti buoni assunti hanno finito per essere accantonati, oppure declassati perché ritenuti inutili, pedanti, vecchi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. La visibilità avuta grazie alla sfiorata poltrona di Presidente della Repubblica, ha fornito a Stefano Rodotà il destro per raccogliere qualche scritto su un concetto che forse è stato bistrattato all'eccesso, cancellando la molta parte di bene che in esso vi era. Purtroppo, come spesso accade, si rileva - tanto vale dirlo subito - che quasi nulla è cambiato, e che un articolo di dieci o vent'anni fa pare scritto ieri.
L'oggetto del riflettere è il moralismo, di cui Rodotà intende fare un vero elogio, e dice subito che non si tratta della semplice morale, che forse è troppo astratta e poco incisiva, inefficace per contrastare convocazioni di piazza indette a difesa dell'indifendibile, ci vuole il moralismo, perché è giunto il tempo di caricare il braccio opposto della bilancia, affinché l'altro (quello del relativismo prima che dell'immoralità) non cali ancor più verso il basso. In certi momenti il moralista può contribuire al rafforzamento degli anticorpi democratici (p. 7), fungere da opportuno grillo parlante quando a piccoli passi si piega dalla via diritta, segnata, e si finisce su sentieri accidentati quasi senza accorgersene, ci si abitua ad accettare quel mal'andare e lo si vede come realtà acquisita e ineludibile. Accade insomma quello che Mitridate sperimentò su se stesso, l'abitudine all'ingestione del veleno, senza però che le moderne cavie abbiano accettato di subire la medesima pratica. Il moralismo è un modo attivo e indignato per rilevare quel veleno e far notare al nostro vicino di tavola che cacciare quotidianamente in gola quell'intruglio non può certo giovare. Rodotà toglie al moralismo ogni connotato negativo, per farne una bandiera di sana reazione alle dinamiche dei faccendieri, emblemi del modus operandi socio-politico attuale.
Nella Costituzione si fa riferimento ad una categoria precisa di persone, i «cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche». Ad essi veniva implicitamente richiesto di possedere una nobile caratteristica passata di moda: la rispettabilità. Una virtù oramai non più evocata e richiesta, tanto da far tornare in mente quanto diceva Turgenev, un uomo onorevole finisce per non sapere dove vivere (sicuramente non in Parlamento, aggiungiamo noi). La rispettabilità serve poiché essa conferisce autorità a chi dimostra di possederla, nella misura in cui ci rassicura sul fatto che quella persona è degna di rappresentarci, non perché è uguale a noi, ma perché è migliore di noi. Se per convincerci della sensatezza dell'assunto, serve rispolverare il moralismo, ha fatto bene Rodotà ad impugnare il piumino.
Nella Costituzione si fa riferimento ad una categoria precisa di persone, i «cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche». Ad essi veniva implicitamente richiesto di possedere una nobile caratteristica passata di moda: la rispettabilità. Una virtù oramai non più evocata e richiesta, tanto da far tornare in mente quanto diceva Turgenev, un uomo onorevole finisce per non sapere dove vivere (sicuramente non in Parlamento, aggiungiamo noi). La rispettabilità serve poiché essa conferisce autorità a chi dimostra di possederla, nella misura in cui ci rassicura sul fatto che quella persona è degna di rappresentarci, non perché è uguale a noi, ma perché è migliore di noi. Se per convincerci della sensatezza dell'assunto, serve rispolverare il moralismo, ha fatto bene Rodotà ad impugnare il piumino.
(post di Sebastiano Bisson)
Stefano Rodotà, Elogio del moralismo, Roma - Bari, Laterza, 2013.
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