giovedì 1 novembre 2012

La legge del pane


Sono seduta al caffè del Villaggio Internazionale Padova 3 a pochi km da Rab, capoluogo dell’omonima isola croata. Mi sono appena svegliata, è il mio terzo giorno di ferie e in attesa del solito cappuccino “internazionale”, mi guardo attorno con il taccuino sul tavolino. C’è una splendida vista sul mare, luce calda e cielo limpido di mezza estate. La giornata è appena iniziata e già c’è la fila al fornaio. Gente di ogni nazionalità si ritrova lì davanti ogni mattina per il pane. Avevo promesso di staccare la spina con l’impegno e la politica, avevo promesso che questa sarebbe stata una vacanza senza giornali e senza pensieri, ma questi, come pesci guizzanti, riaffiorano a galla quando meno me l’aspetto. Ecco, ci siamo, penso tra me, mentre il mio lui è andato a pagare il conto. Mi sto scrivendo addosso! Cerco con foga una penna, spalanco il taccuino e metto giù qualcosa d’inevitabile. L’urgenza di certe istanze non mi lascia neppure qui.
Se il buon giorno si vede dal mattino, una buona civiltà comincia da una buona fila. Accodati uno dietro l’altro in silenziosa dignità, ciascuno attende il proprio turno senza livore. Non ci sono numeretti a disciplinare la progressione, eppure nessun litigio. Chiunque arrivi prende posto dietro l’ultimo  e gli altri scorrono quando il primo rompe le righe con il suo cartone di pane.
La forma di questo serpentone che si snoda è semplice e chiara. Ripenso alla massa informe di certe code italiane al supermercato, al cinema, in banca o all’anagrafe quando la macchinetta è fuori servizio. Mi alzo col taccuino e mi avvicino al fornaio di Rab. Non è difficile entrare a far parte di questa forma, trovare il mio posto, attendere il mio turno assumendo quel silenzioso contegno che mi fa sentire d’un tratto cittadina del mondo. Incolonnati uno alla volta ci avvicendiamo senza intoppi. Dopo poco tocca a me, è piacevole e rilassante prendere il pane e seguire il naturale deflusso delle cose. In fondo è così semplice, nessuno sgomita, nessuno tenta di prenderti il posto, niente trucchi né inganni. Si chiede il pane e si paga. Ciascuno sa chi viene prima e chi dopo, non ci sono privilegi: è la legge del pane. Ce n’è per tutti, basta saper attendere il proprio momento, non importa se sei grande, grosso, magro, alto o basso, se conosci il cassiere, sei parente del fornaio o se e quanto pagherai alla fine. L’ordine cronologico è l’unico concesso. C’è un tot di tempo entro il quale è lecito fare le proprie richieste al panettiere, ed è un range implicito, dettato dal buonsenso. Quando tocca a te saprai regolarti, avendo impiegato parte dell’attesa nell’osservare gli altri prima di te, invece di pensare a come scavalcarli o buggerarli. Gli altri sono un modello per capire come funziona; non serve che qualcuno stia lì a spiegare o vigilare.
Al di là del bancone, commesse sorridenti sono messe in condizione di accontentare tutti, senza dare in escandescenze o beccarsi improperi dogni tipo. Non ci sono monologhi deliranti alla cassa o gente che scambia il garzone del negozio per uno psicoanalista o un confessore. Mantenere la fila non è solo questione di spazi e di tempi. È un’abilità che richiede senso di identificazione negli altri che attendono; senso di giustizia, socialità, la capacità di saper stare al proprio posto, di lasciarlo a tempo debito, il saper concentrare le proprie richieste alla cassa, il contenimento della propria impellente ansia di arrivare sempre primi. 
Questa della fila è una di quelle forme di civiltà che dovrebbe essere appresa sin dall’infanzia, assieme ai primi passi. Ciò che non è facile far capire a chi si occupa di politiche educative, è proprio l’esigenza di inserire nelle scuole adeguati programmi di psicomotricità che possano allenare i futuri cittadini a gestire i propri spazi in relazione alle proprie emozioni, gestire i propri spazi emotivi senza invadere quelli altrui. 
Anche una banale fila può diventare difficile da seguire senza un paziente allenamento nell’uso del corpo rispetto allo spazio-tempo sociale. Nella fila s’incontrano gestioni intra-psichiche e interpersonali. E la fila diventa metafora di processo democratico, alternanza, avvicendamento, rispetto e futuro.

(Post di Valentina Rizzi)

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