venerdì 17 settembre 2010

Il cavaliere editore

Silvio Berlusconi è un elefante in una cristalleria: ogni suo minimo movimento lo porta a cozzare contro qualcosa che sarebbe meglio non toccasse. La polemica, ancora in corso, riguardo a Mondadori, non è che l’ennesimo movimento inopportuno che fa traballare un soprammobile di pregio della cristalleria italiana. Il tutto ha sostanzialmente inizio con gli articoli di Massimo Giannini su «Repubblica», il quale segnala come – grazie al decreto 40 del 25 marzo 2010, poi convertito in legge – il Gruppo Mondadori può chiudere la vertenza che ha in corso con il Fisco, versando 8,6 milioni di euro anziché 350. Il decreto ha lo scopo di smaltire parte del grave arretrato del nostro sistema giudiziario e torna utile in verità a diverse aziende, fra le quali però c’è anche la Mondadori di Berlusconi e così si solleva l’indignazione di molti, con inviti al boicottaggio e con la rabbia per un’altra legge che sembra tagliata su misura per agevolare chi deve agevolare (d’altronde è un elefante, da qualsiasi parte si giri…). Uno dei gesti più clamorosi è la presa di posizione di Vito Mancuso, autore Mondadori, che ha un improvviso rimorso di coscienza e non si sente più in grado di legare i suoi scritti al marchio di Segrate. Lettera aperta e strappo, con tanti strascichi che forse è inutile seguire.
Per non essere accusato di partigianeria, riprendo il quadro che della questione fa Marcello Veneziani sulle pagine de «il Giornale». Nel contenzioso con il Fisco la Mondadori ha già vinto due volte, dunque non era da escludere che pure in cassazione l’accusa sarebbe caduta; mi chiedo allora perché non affrontare il terzo grado di giudizio, così da risparmiare anche quegli 8,6 milioni e uscirne alla fine ‘pulita’. Per Veneziani è stata scelta «la via più breve e meno lacerante» – già presumendo l’inquinamento politico nelle decisioni della magistratura – benché egli concordi sul fatto che la legge «puzza troppo di favore alla casa editrice del premier». D’altronde, e qui si lancia verso il cuore del suo ragionamento, di vantaggi fiscali ne hanno goduto molti e molti sono quelli che traggono beneficio da questa legge. Se poi si va un po’ a scavare nel passato, casi del genere spuntano come funghi, e via ad elencare, svelando una gran mole di ipocrisia e un giustizialismo di parte. Corruzione e favoritismi sono il pane quotidiano della nostra Italia, d’accordo, ma non mi persuade la giustificazione che ne consegue, ovvero che non sia mai il tempo buono per premere sul freno. In più, e ciò non si può negare, in tanti affari poco chiari degli anni addietro c’era chi dava e chi prendeva; oggi le due mani appartengono alla stessa persona. Non è una differenza da nulla. «Ma un autore risponde del suo libro e non dei libri contabili dell’azienda per cui scrive» ci risponde Veneziani. Dissento: un uomo non dovrebbe mai fare come lo struzzo, men che meno un uomo di cultura che possiede i mezzi per comprendere meglio la realtà e a cui molti si affidano nelle scelte quotidiane, nel farsi un’opinione. In queste parole sento la radice di uno degli atteggiamenti più deleteri del nostro tempo: quel fare spallucce e voltarsi altrove che gradatamente porta a subire qualunque cosa.
Detto questo, non stupitevi, sono d’accordo con Marcello Veneziani. Come sono d’accordo con Michela Murgia, la vincitrice del Campiello 2010, che scrive per Einaudi (dunque Gruppo Mondadori) e dice di trovarsi bene con il suo editore, e nonostante tutto non vuole lasciarlo poiché lì ha a che fare con professionisti, perché è felice che i suoi libri siano nel catalogo di un marchio tanto prestigioso e siano efficacemente distribuiti nelle librerie d’Italia. Sono d’accordo. Se non fossi d’accordo, per lo stesso principio dovrei pretendere che si licenziassero tutti quelli che lavorano a Mediaset o per la Mediolanum, o che nessun calciatore accettasse ingaggi dal Milan, perché ogni giorno Berlusconi deve fare scelte che possono favorire o meno quelle società; e a quel punto, la debolezza è umana.
C’è una grande anomalia a monte, un’anomalia che abbiamo accettato: quella di far entrare un elefante nella cristalleria. Perché strapparsi i capelli disperati se molte cose finiscono in cocci, se si frantuma un certo ordine, non dico legale e neppure etico, ma di semplice buon senso? Continuiamo a leggere, anche i libri Mondadori, magari alla fine impareremo che dare molto potere ad uno solo, significa togliere un po' di libertà a tutti gli altri.

Foto: Elefante split © Este Burcian

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