domenica 8 marzo 2009

Le leggerezze degli editori

Sono assillato dal dubbio che ai grandi editori non piaccia più pubblicare libri. Si inventano di tutto per sfuggire all’impegno: organizzano eventi, producono audiovisivi, collezionano gadget; e quando davvero non possono farne a meno, quando gioco forza devono mandare qualcosa in tipografia, lo fanno distrattamente, senza gusto, e il risultato ne è spesso la prova più evidente. Ho l’impressione che in molte delle case storiche dell’editoria italiana sia scemato l’entusiasmo per il libro, che si continui a produrre per inerzia e per la pagnotta – contando forse su un pubblico di lettori sempre meno esigenti? – ma di fatto pare svanita la passione per il lavoro acuto e certosino che dovrebbe stare dietro ad ogni libro.
Non saprei spiegarmi diversamente gli inciampi, le figuracce, gli imbarazzi, che sempre più di frequente i libri causano ai propri editori. Penso alle opere di Sylvia Browne su Atlantide o i Templari, pubblicate da Mondadori: devo credere che nessuno in redazione abbia percepito sul collo lo sguardo del povero Arnoldo mandando alle stampe le pagine di pseudo-scienza di un’autrice che giunge alle sue conclusioni grazie all’aiuto di uno “spirito-guida” di nome Francine? Penso a Curzio Malaparte trasformato in Maltese (e non in senso geografico) nella recente Storia europea della letteratura italiana di Einaudi a cura di Alberto Asor Rosa: possibile che nessun correttore di bozze o curatore dell’indice abbia avuto il sospetto che un pur bravo giornalista di «Repubblica» difficilmente poteva essersi già conquistato la presenza in un’opera di tal genere? Penso al tanto discusso volume Pasque di sangue di Ariel Toaff edito dal Mulino: è davvero accaduto che tutti si siano lanciati in crociate contro o in difesa del libro, e in casa editrice nessuno abbia realizzato che il problema era a monte, ovvero che il volume è inficiato da una serie quasi infinita di errori di traduzione, citazione, comprensione, tali da rendere quasi inutile discuterne le tesi esposte? Penso, a livello più generale, allo sbracamento indecente, all’esposizione di vergogne, a cui si assiste nell’imminenza dei periodi natalizio ed estivo, tali che qualunque lettore degno di questo nome vorrebbe entrare in libreria in tenuta da disinfestazione.
Oggigiorno le case editrici sono prima di tutto aziende, e il diritto di guardare al fatturato credo sia inviolabile. Ma il marketing non dovrebbe far scordare che il libro è comunque un portatore di contenuto, e che la forma esteriore, il suo lancio commerciale, non sono che orpelli. Rivoltare il fuori con il dentro, significa dimenticare che il libro rimane uno dei vettori culturali principali della nostra società, uno degli strumenti attraverso i quali i cittadini e le loro coscienze crescono e si formano. C’è una grande responsabilità dietro al pubblicare libri, una responsabilità che non dovrebbe ammettere leggerezze.

Foto:
Libri © areldos

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