venerdì 13 febbraio 2009

Chiodi fissi e sogni proibiti

Se la telegrafia fosse un’arte, Amélie Nothomb ne sarebbe indiscussa maestra. Nel suo narrare ogni frase è spolpata sino all’osso, ogni ragionamento ridotto alla scarna essenzialità, ogni cosa ricondotta al suo stato primario, freddo ed essenziale come il marmo di Carrara. E infatti L’entrata di Cristo a Bruxelles è un racconto di fatti (pochi) e di indizi (essenziali) che, pur sembrando un giallo, scontenterebbe qualunque giallista. Già a metà del cammino è chiaro dove il sentiero si fermerà, si capisce che Zoe, la fanciulla dai terribili mal di testa, è proprio, inspiegabilmente, chi fin da subito sospettiamo. La colpa appunto è di quella essenzialità di stile che impedisce per forza di distrarre, ingannare, offrire false piste, quello che si diverte a fare ogni libro che nasconde un mistero.
Allora, dimenticato il giallo, conviene forse lasciarsi traviare dal tono fiabesco, dai personaggi paradossali che sembrano far l’occhiolino ad Aureliano Buendia e a quella schiera fantastica che abita le pagine dei migliori scrittori sudamericani. Ma lì, nella pazzia serpeggiante, tutto appare vero e credibile, mentre qui diversi aspetti rimangono inverosimili e la nostra incredulità non ne vuol sapere di stare in sospeso: può il pianto di un bimbo portare al suicidio due genitori? Più facile sia il piccolo a soccombere, ma in ogni caso la nostra ragione chiede giustificazioni.
Salvator è il protagonista, colui che infligge il dolore e nel contempo ce ne libera. Difficile vederlo quale personificazione di Cristo che passeggia per le strade di Ostenda o Bruxelles sulle tracce di James Ensor, a maggior ragione considerando che la croce è, metaforicamente ma non solo, sulle spalle di Zoe. Lei infatti subisce la malia bizzarra a forma di chiodo, una crocifissione simbolica come emicrania perenne. Alla fine fa quasi rabbia leggere l’epilogo: la vittima che rende felice il suo carnefice; purtroppo così va il mondo.
Un’altra malia sottende a Senza nome, il lato B del libro, e ha l’aspetto di una sod­di­sfa­zione mistico-sensuale misteriosa che avvolge nel sonno i viaggiatori sperduti e li tiene incatenati a sé notte dopo notte. Nel codardo ma irresistibile rifuggire dalla realtà, affondando fra soap-opera e sogno, il quinto viaggiatore ci accompagna in una storia che inizia come una fiaba, prosegue come un giallo, sublima nella riflessione filosofica, e con l’ultima frase invita a guardarci intorno con un po’ di pessimismo in meno, o addirittura ci lascia soddisfatti del nostro piccolo mondo che poi forse tanto male non è.

Amélie Nothomb, L’entrata di Cristo a Bruxelles, Roma, Voland, 2008, pp. 104.

Le mie chiocciole: @@

Da regalare: a chi ama poltrire a lungo sotto il piumone

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